jeudi 6 octobre 2011

Nicola Dal Falco : Aurona Il paese dell’oro e delle luci

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La tradition Orale ladine nous offre ce conte, conte remis au goût du jour par Nicola Dal Falco ! Nous allons durant ce mois d'Octobre vous en proposer différentes traductions dans plusieurs langues latines de l'arc alpin & du midi de la France.




Il paese dell’oro e delle luci
di Nicola Dal Falco


Questo si diceva di Aurona, del regno sotterraneo dell’abbondanza: el pais de l’or e de la lùmes.
Vasto abbastanza o fin troppo da meritarsi il nome di paese. Un paese dove la precedenza spettava all’oro e alle luci che lo ornavano come un tabernacolo.
Luci preziose che, però, tutte insieme non facevano una luce vera e propria, ma un chiarore diffuso nel cavo della montagna.
Per analogia con l’abisso che celava, la catena del Padòn, dove nasce un torrente che porta lo stesso nome di Aurona, è scura come la pancia di un forno, simile alle scorie ammucchiate ai margini di un immenso scavo.
Le ricchezze non vi affioravano per buona sorte, ma con il duro lavoro degli abitanti ed erano il frutto di un patto tra il re e gli Inferi.
In base all’accordo, non si sarebbero mai esaurite a condizione che il popolo restasse per sempre sottoterra. A chiudere l’accesso era stata murata una porta tutta d’oro.
Forse quel regno coincideva con l’Aldilà o ne era un importante ducato, dove solo il reggente sapeva del mondo di fuori, della sua luce risorgente e di come fosse, alla fine, quell’alternarsi di giorno e di notte, di vita e di morte a garantirne la ricchezza, lo smisurato di più.
L’oro, in fondo, non brilla, ma emana un tenue, persistente lucore e quegli uomini e quelle donne conservavano per tutta la loro esistenza un aspetto larvale.
Sta di fatto che nessuno, all’infuori del re d’Aurona, aveva mai visto la luce del sole.
Poi, un giorno, con la giusta fatalità di ogni racconto, cadde una lampada e si aprì un buco nella volta, liberando un raggio tagliante di luce, così chiara da aver voglia di bagnarsene.

Una sottile intercapedine separava appena le caverne d’Aurona dal resto del mondo.
Verso quell’occhio abbagliante si diresse uno dei vecchi scavatori, a cui bastò poggiare una lunga scala per guardare oltre la sorgente luminosa.
Tutto lo colpì, le forme, i colori e l’enorme lume che rendeva possibile l’inatteso spettacolo. Quando ritrasse il capo, iniziò a spiegare, a tentare paragoni.
Nella generale meraviglia, gli occhi colmi delle cose viste, non si accorse subito di essere diventato cieco.
La fessura venne immediatamente richiusa. Tuttavia, anche senza parlarne, le parole del vecchio avevano aperto un varco nel cuore degli abitanti di Aurona, soprattutto in quello della principessa Sommavida.
Lo struggimento che la invadeva, sensazione mai provata prima, si calmava solo restando accanto alla porta sbarrata del regno.
Lì, un eco di quell’altrove estraneo e nostalgico riusciva a filtrare. Le pareva di sentire dei suoni, a volte un belare o delle voci confuse.
E forse, lei stessa, aveva tentato di sussurrare qualcosa verso l’esterno. Non si sa bene come, del suo vegliare dietro alla porta venne a conoscenza Odòlghes, re di Contrìn che promise a se stesso di liberare la principessa.
Per sette giorni picchiò con la spada contro la porta, riuscendo, infine, a incrinare un battente e a socchiuderla abbastanza, perché dietro a Sommavida tutto il popolo d’Aurona si riversasse nel mondo, voltando definitivamente le spalle al buio.
A furia di battere sulla porta, la punta della spada del re si era impregnata d’oro. Per una spanna almeno, il metallo prezioso aveva soppiantato il ferro, segnando non un’aggiunta, ma una fusione, un segno di potenza, un riconoscimento.
La punta brillava talmente in battaglia che alla spada e al suo possessore furono dati il nome di Sàbja da Fek, spada di fuoco.

Odòlghes sposò Sommavida, rifiutando però le sue ricchezze. Fu anche per questo che si smise di pensare ad Aurona, perdendo col tempo l’esatta ubicazione della porta. Infine, una frana sigillò, nuovamente, l’ingresso.
Rimangono alcune domande. A chi apparteneva Sàbja da Fek, al re guerriero o al ricordo di Aurona, al suo maleficio?
E i suoi abitanti chi erano veramente? Senza dimenticare Sommavida, il cui nome sacerdotale non poteva solo predire un desiderio di fuga.
Forse, ripetendo un dubbio già detto, il re d’Aurona altri non è che Ade, artefice di una ricchezza e di una tirannia senza limiti.
Il patto di tenere ben strette le anime dei morti, al fine di non angustiare troppo i vivi, è stato infranto da un eroe che strappa una figlia e una sposa al sovrano di sotto.
Riesce o almeno così sembra, perché il seguito della storia pur onorandone il valore non lo salva, anzi.



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