Il cavaliere verde
Verde il cavallo, verde la gualdrappa, la sella, i finimenti, verde l’armatura, la gigantesca ascia, le mani, il viso e i capelli.
Verde anche la voce, potente e frusciante come quella della foresta da cui per analogia doveva essere sbucato e tenere albergo.
Verde, nel senso di nuova e inattesa, la sfida lanciata quasi senza preamboli ai piedi di Artù riunito con i suoi cavalieri il giorno di Capodanno.
E verde, insinuante come edera, anche la speranza del re che, per consuetudine, non avrebbe potuto pranzare se non dopo aver ascoltato una storia straordinaria. Così, simile al fascino smeraldino di certe pozze nascoste, lo sguardo del cavaliere si era specchiato in quello dei convitati, chiedendo se qualcuno era disposto a colpirlo con la sua stessa ascia.
Un colpo senza quartiere che avrebbe meritato, restando immobile. In cambio, chiedeva solo di poterlo rendere fra dodici mesi e un giorno esatti.
Come l’aria sopra un prato fiorito si carica di bisbigli e voli così alla tavola di Artù si intrecciavano sospiri di stupore e domande. La corte e il re erano presi in una rete di curiosità, in un vischio d’imbarazzo e stranezza.
Con la sfacciataggine del suo colore, gaio e tagliente, il cavaliere verde aveva rinnovato l’affronto, sorridendo di un ambiguo sorriso. Strana proposta, davvero, farsi fare a pezzi, su due piedi, senza reali motivi di scontro, salvo quel ghigno diventato infamante, acerbo.
Cortesemente si fece, allora, avanti Galvano, cavaliere perfetto e molto amato dal re e dalle dame.
Mirò con forza al collo dello sconosciuto, spiccandogli di netto la testa che rotolò sul pavimento.
Ma, colmo dell’orrore, il corpo si riprese ciò che gli apparteneva, montò in sella, e quella, come se fosse ancora al suo posto, riprese a parlare, ricordando l’impegno: tra un anno e un giorno, alla Cappella Verde, per ricevere identico colpo.
Così, la morte lascia che scorra un tempo promesso, desiderato, e al termine esige il suo colpo.
Il buon Galvano trovò, puntuale, la Cappella Verde, che in verità da un anno e un giorno circondava ogni suo passo, ricevendo tre colpi, quanti erano stati i suoi recenti peccati.
Peccati di lussuria, in cui aveva messo in pericolo la propria lealtà e che per due volte fecero sibilare la lama a vuoto e la terza segnare un rigo di sangue.
Appena un rigo, ma sottile come la vita.
Verde va per il mondo la morte, dolce e cruda d’aspetto, improvvisa eppure fiorente.
Radice che semina di sé verdi polloni, rigenerando un prato amaro.
Verde anche la voce, potente e frusciante come quella della foresta da cui per analogia doveva essere sbucato e tenere albergo.
Verde, nel senso di nuova e inattesa, la sfida lanciata quasi senza preamboli ai piedi di Artù riunito con i suoi cavalieri il giorno di Capodanno.
E verde, insinuante come edera, anche la speranza del re che, per consuetudine, non avrebbe potuto pranzare se non dopo aver ascoltato una storia straordinaria. Così, simile al fascino smeraldino di certe pozze nascoste, lo sguardo del cavaliere si era specchiato in quello dei convitati, chiedendo se qualcuno era disposto a colpirlo con la sua stessa ascia.
Un colpo senza quartiere che avrebbe meritato, restando immobile. In cambio, chiedeva solo di poterlo rendere fra dodici mesi e un giorno esatti.
Come l’aria sopra un prato fiorito si carica di bisbigli e voli così alla tavola di Artù si intrecciavano sospiri di stupore e domande. La corte e il re erano presi in una rete di curiosità, in un vischio d’imbarazzo e stranezza.
Con la sfacciataggine del suo colore, gaio e tagliente, il cavaliere verde aveva rinnovato l’affronto, sorridendo di un ambiguo sorriso. Strana proposta, davvero, farsi fare a pezzi, su due piedi, senza reali motivi di scontro, salvo quel ghigno diventato infamante, acerbo.
Cortesemente si fece, allora, avanti Galvano, cavaliere perfetto e molto amato dal re e dalle dame.
Mirò con forza al collo dello sconosciuto, spiccandogli di netto la testa che rotolò sul pavimento.
Ma, colmo dell’orrore, il corpo si riprese ciò che gli apparteneva, montò in sella, e quella, come se fosse ancora al suo posto, riprese a parlare, ricordando l’impegno: tra un anno e un giorno, alla Cappella Verde, per ricevere identico colpo.
Così, la morte lascia che scorra un tempo promesso, desiderato, e al termine esige il suo colpo.
Il buon Galvano trovò, puntuale, la Cappella Verde, che in verità da un anno e un giorno circondava ogni suo passo, ricevendo tre colpi, quanti erano stati i suoi recenti peccati.
Peccati di lussuria, in cui aveva messo in pericolo la propria lealtà e che per due volte fecero sibilare la lama a vuoto e la terza segnare un rigo di sangue.
Appena un rigo, ma sottile come la vita.
Verde va per il mondo la morte, dolce e cruda d’aspetto, improvvisa eppure fiorente.
Radice che semina di sé verdi polloni, rigenerando un prato amaro.
Nicola Dal Falco
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