La rondine lettrice
Sono giorni di caldo che i continui sospiri della gente rendono ancora più afosi.
Dal lago il vapore sale fino alle cime dei monti. La caligine rende ogni cosa più lenta e vana come se stessero per avverarsi i segni che aspettavamo. In questi momenti di calma e idiozia è la vanità a sfiorare spesso il bordo, colmando la misura, cosicché molti trovano l’occasione per morire.
Privato di colori e quasi cancellato nelle forme, il paesaggio si scopre più bello, di una bellezza sfuocata, intima, dove la precisione delle distanze ha lasciato il posto alla verità: evidenza tanto più temibile, perché appena accennata.
Forse, dipende da una maggiore dilatazione dei pori della pelle, dall’intenso scambio di liquidi con l’esterno.
C’è una certa somiglianza tra lo spettacolo del lago e la pagina del libro dove le parole e i fatti si rincorrono in una cornice bianca.
Le frasi stanno strette per dare corpo al racconto mentre intorno incalza un orizzonte mobile, circolare.
E se socchiudi gli occhi, allenti il muscolo, tutto sembra schizzare verso i bordi. Il piacere della lettura, quel battere la sella verso la conclusione del percorso, superando un ostacolo dopo l’altro, si trasforma in una deriva, con la velocità che decade verso destra o sinistra come dentro una spirale.
Attraverso l’aria carica d'umidità la luce si spande, un chiarore opaco che caccia via l’ombra mentre le cose sembrano riassorbirne l’alone.
Una piccola rondine col petto rosso, stanca di giravolte, si è posata sulla balaustra di ferro del terrazzo.
Se ne sta ferma, senza timore, a trenta centimetri di distanza. È come se un grumo d'inchiostro, un’elegante calligrafia, tenesse la linea dello sguardo che dal margine del foglio stampato va alla riva di fronte.
Solo il capo continua a girare di novanta gradi, da una parte e dall’altra, sostenendo una muta conversazione. Un tempo si credeva che i piccoli di rondine potessero riacquistare la vista anche dopo averne bucato gli occhi con un ago.
Ma chi potrebbe aver voglia di dimostrarlo?
Forse, il sadico aneddoto sulla vista delle rondini ha lo scopo di provocare un gesto, di capire il da farsi quando te ne ritrovi una quasi posata sul tuo libro.
Alla fine, decido che con il movimento continuo del capo vorrebbe spingermi a voltare pagina, arrivando in fondo alla descrizione del figlio del signore di Mesnilgrand, indomito comandante di cavalleria, radiato dall'esercito dopo Waterloo.
Culmine che trovo esattamente due pagine più in là (l’insistenza della rondine durava ormai da qualche secondo):
«Chi l’aveva visto una volta non lo dimenticava più.
«Incuteva rispetto, come tutti coloro che non chiedono più nulla alla vita; perché chi non chiede nulla alla vita è più in alto di lei, ed è lei allora che compie bassezze con noi».
Dal lago il vapore sale fino alle cime dei monti. La caligine rende ogni cosa più lenta e vana come se stessero per avverarsi i segni che aspettavamo. In questi momenti di calma e idiozia è la vanità a sfiorare spesso il bordo, colmando la misura, cosicché molti trovano l’occasione per morire.
Privato di colori e quasi cancellato nelle forme, il paesaggio si scopre più bello, di una bellezza sfuocata, intima, dove la precisione delle distanze ha lasciato il posto alla verità: evidenza tanto più temibile, perché appena accennata.
Forse, dipende da una maggiore dilatazione dei pori della pelle, dall’intenso scambio di liquidi con l’esterno.
C’è una certa somiglianza tra lo spettacolo del lago e la pagina del libro dove le parole e i fatti si rincorrono in una cornice bianca.
Le frasi stanno strette per dare corpo al racconto mentre intorno incalza un orizzonte mobile, circolare.
E se socchiudi gli occhi, allenti il muscolo, tutto sembra schizzare verso i bordi. Il piacere della lettura, quel battere la sella verso la conclusione del percorso, superando un ostacolo dopo l’altro, si trasforma in una deriva, con la velocità che decade verso destra o sinistra come dentro una spirale.
Attraverso l’aria carica d'umidità la luce si spande, un chiarore opaco che caccia via l’ombra mentre le cose sembrano riassorbirne l’alone.
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Una piccola rondine col petto rosso, stanca di giravolte, si è posata sulla balaustra di ferro del terrazzo.
Se ne sta ferma, senza timore, a trenta centimetri di distanza. È come se un grumo d'inchiostro, un’elegante calligrafia, tenesse la linea dello sguardo che dal margine del foglio stampato va alla riva di fronte.
Solo il capo continua a girare di novanta gradi, da una parte e dall’altra, sostenendo una muta conversazione. Un tempo si credeva che i piccoli di rondine potessero riacquistare la vista anche dopo averne bucato gli occhi con un ago.
Ma chi potrebbe aver voglia di dimostrarlo?
Forse, il sadico aneddoto sulla vista delle rondini ha lo scopo di provocare un gesto, di capire il da farsi quando te ne ritrovi una quasi posata sul tuo libro.
Alla fine, decido che con il movimento continuo del capo vorrebbe spingermi a voltare pagina, arrivando in fondo alla descrizione del figlio del signore di Mesnilgrand, indomito comandante di cavalleria, radiato dall'esercito dopo Waterloo.
Culmine che trovo esattamente due pagine più in là (l’insistenza della rondine durava ormai da qualche secondo):
«Chi l’aveva visto una volta non lo dimenticava più.
«Incuteva rispetto, come tutti coloro che non chiedono più nulla alla vita; perché chi non chiede nulla alla vita è più in alto di lei, ed è lei allora che compie bassezze con noi».
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