dimanche 10 mars 2013

N . Dal Falco : Fisiognomica, Canaio, Lassie senza più lupi, Anubis, La corsa di Atteone, Zu^^^^^^^^^^^, L’estate del santo, ...

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Fisiognomica

Ci sono cani che svirgolano i bisogni sui muri:
caparbia ostinazione da scriba.
E, infatti, del grigio ideogramma si conserva
più a lungo la traccia.

Un giorno, il tuo amico francese ti disse che,
a Praga, i cani si sedevano.
Ma fu un cane turco a mostrarmi, infine,
la tecnica, posando di lato il sedere
e assumendo un’aria senza pensieri.

Sui muri di campagna o in mezzo alla strada riposano 
i randagi, lenti ad alzarsi ma rapidi
in cammino.
Un trotto leggero, un’azzurra cicatrice li sospinge in avanti.



*



Canaio


Per certi minuti che paiono immobili, scartati dal tempo,
come una festa triste di botti, esplode il latrato dei cani.
Cani di paese, senza guinzaglio, confinati negli orti
lungo la strada in salita, nei giardini, lastricati di sasso
o tra improvvisate rovine di cose.
Un insulto, un mordere l'aria, piangendo di sé un pianto
senz'occhi: l'intera razza a banchetto col proprio destino.
Sembra martedì ed è invece domenica.
Eppure in quel franare d'istinti immagini un'eco di spazi, il freddo
e il calore del branco, un massacro senz'ira.
Uggiolare, ringhiare, ululare e un netto, più grande silenzio.


*

E c'era l'abitudine di farsi accompagnare
da un volpino rosso. Minuto, ubbidiente,
ma anche molto suscettibile.
La taglia giusta per un tipo di padrone originale,
socievole e indipendente, capace di mostrarsi a secondo dei casi
molto riservato e altrettanto sincero.
Ciò che agli occhi di tutti
li trasformava in autentica coppia, con delle reazioni
quasi intercambiabili, era la perfetta intesa
su geografia e politica:
la permanenza in un luogo e la divisione tra simpatici
e antipatici. Anche il rispetto della proprietà, gli incidenti
automobilistici e le previsioni meteorologiche
erano argomenti in comune.
Una tabacchiera di trinciato forte, una manciata di ghelli
che suona in tasca, la camminata spedita e il fastidio
per chi ciondola in piazza.
I Capi li chiamavano e finirono, uno dopo l'altro,
correndo davanti alle automobili.

*



Lassie senza più lupi


Secoli senza più lupi fecero perdere l'istinto ai pastori inglesi,
stinsero tra i geni il riflesso verso la giusta causa del gregge.
Nuovi destini cinematografici nel deserto dell'isola
al posto del vecchio contratto.

Oggi, qui, un cane passeggia a fianco dell'orco: l'uomo buono,
stupido, che ammala le mogli e sposta i confini.
Carne litigiosa, grezza prosopopea di campagna.
Senza più lupi, sbagli anche i padroni.


*

Li senti abbaiare ad un'ora che è già notte, abbaiare 
più forte, con rabbia.
Come se, a un tratto, il buio e il silenzio insieme 
diventassero insopportabili, fossero troppo e troppo 
fioche le stelle.
Ma forse quel frenetico baccano che inizia e 
altrettanto improvvisamente tace, annuncia solo il 
transito di Ecate, la triplice dea che visita i crocicchi.

*



Anubis

Vento giallo
che sibila sull'acqua,
vortica nei cimiteri,
arroventando i muri;
secco come un latrato
che sale dall'orizzonte
in un incendio d'aria.

Levando coda e orecchie nel buio,
sbattendo i denti,
ricoprendo tutto d'un velo di quarzo,
d'infimo oro che imprigiona scintille.

Di notte, branco di stelle
a caccia sulle colline;
ladro non ignaro di giustizia,
pontefice dell'al di noi.

*

Cani gettati
come pedine
nella lunga caccia
celeste,

zigzag dentro la notte
e il giorno,

per il tempo che serve,
infinito,
al giro di macina.

Fedeli, quindi, al giocatore,
allo specchio in bianco e nero,
alla partita che, mossa per mossa,
divora ciò che semina, spargendo
farina d’ossa.

*


La corsa di Atteone

Correva incerto Atteone,
nel fitto del bosco,
dove il sole piega la fronte
e l'ombra s'increspa
di forme indistinte.

E vide la luna bagnarsi nell'acqua,
Artemide nuda alla fonte:
l'avorio e l'argento.
Freddo splendore, niveo guizzo
avvolse la scena e la vista,
mutando il corpo.
Allora, fu come un giovane sole,
un cervo inseguito e sbranato
dai cani di Notte.

*

forse alla nudità di coste e cieli,
al mezzodì, al vento che sconfina
in casa e strapazza le verdure nell’orto,

al mugolare dietro la preda che scuote
le foglie,

forse ad un profilo che sa solo di corse
- la nobiltà non affretta discorsi,
ma li porta per così dire in bocca  -
ancora ribatte vento su vento
il nodo di andare, la nascita
delle corti pelagie, del nudo,
saettante levriero,
laconica ombra bestiale


*

Vorrei una volta ascoltare
la musica triste che sopì
Argo cent'occhi.

Mercurio, pianeta veloce, invitò il custode stellato
a sedere su un sasso e per l'intera giornata suonò
così dolce zampogna che l'intera testa si spense.

Novantotto occhi socchiuse e gli altri due cullò.
Poi, con gesto divino,
spiccò la testa d'un colpo.

L'immenso sguardo si fece piuma,
e di tutta la vista del mondo
accese la coda al pavone.
Così chi vuole vedrà
l'universo spettacolo,
spiegato e richiuso a ventaglio.


*

Come una cagnetta in piazza,
meridiana dell'ora che abbaia:
giudice spelato
che siede e si ritira;
cresciuta ad ossa di pollo,
copertine e ingrati ciclisti.

*


Zu^^^^^^^^^^^


Zû, con circonflessa gloria
sulla u;
berretto frigio, coronato d’alloro.

Sua mandarina brevità,
sovrano in Monreale,
regno di mezzo.

Zû non parla,
se ne sta appisolato lungo la riva:
pezza di cotone tra i giunchi,
pesa poco sul bordo franoso.

Del fiume conosce tutte le tempeste,
le crescite e altrettanto vertiginose discese;

quando l’acqua scorre violenta senza fondo
e quando il letto cattura mulinelli di polvere.

Zû sape cuntari, ma ci ha rinunciato,
un sonno antico il suo.

*



L’estate del santo

Dolce come un bacio,
in risata lieve, mescolando
nuovi a vecchi tepori,
su dalla terra e sopra l’orizzonte,
giunge imagante l’estate del santo.

Ripiena dell’abbaiare dei cani,
e di domande, domande che hanno
conciso il tempo di una breve estate,
aureola sulla testa di un santo.





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