Iblea
I
ansia seria (di terra)
si compone nel grigio dell’isola,
nel suo stare raminga all’orizzonte
come nuvola
II
non esita l’ombra,
sta con la sua cosa,
né va né torna,
si scava piano
una lucente nicchia,
cassa di zavorra,
artiglio,
così che anche il camminare
prende un altro peso,
non si proietta il passo
ma, andando, volge
il proprio sguardo, indietro
ammicca
e ogni volta
accetta di morire
III
che luce è questa
che si ferma?
che risuona in aria
col metallo del cielo?
che spreme polvere e oro,
che, improvvisa, s’oscura,
torna alla notte?
sembra entrare maligna nell’occhio,
gonfiando il cuore d’altri sogni;
ruotando viva, prende posto,
s’impasta di calore e pietra,
nessuna come questa
appare simile al fuoco
e alla terra;
è luce d’ombra,
avvinta, corteccia
e polpa
IV
soffia vento di luna nuova
lungo le ascisse,
raso i confini e i carrubi,
di stanza in stanza,
dando il volo
ai fiori di bouganville,
assetato colore,
pallide carte
sul pavimento
V
di nuovo, sommando realtà ai ricordi, conosco il vento
quando s’ingolfa dal mare in casa e nel suo disperato
discorso cerca frasi ad effetto, adatte ad un’improbabile
traduzione: ma sono io che mi lamento convinto o è lui
che, caritatevole, porta aria dal cielo a chi nuota appena?
meglio, però, la rotta di un viottolo, la coffa di un muretto
che il porto greco di un baglio di vacanze
VI
ho visto la città, segnata come un colpo di verga sul dorso
della collina, lunga il volo di una lancia, da nord a sud, testa
e piedi adagiati verso l’orizzonte; impossibile non credere
all’ecìsta, non pensare alle necessità che impose al proprio
per un altro corpo bisognoso, tutto da fare, ora che ambedue
risplendono come ossame in scrigno di santa
VII
a quella santa, girata sul fianco,
dormiente come un fiume,
promisero, devoti, un eterno risveglio;
dove la cera si sciolse sul viso
e le costole recisero la gogna del corsetto,
già si intravede la sponda di luce,
la riga di sabbia sotto la risacca
VIII
occhio di Spada, brillante l’abisso divenuto azzurro,
grigio velato come la luna del giorno che viene,
smisurato becco levato in aria, senza correnti
I
ansia seria (di terra)
si compone nel grigio dell’isola,
nel suo stare raminga all’orizzonte
come nuvola
II
non esita l’ombra,
sta con la sua cosa,
né va né torna,
si scava piano
una lucente nicchia,
cassa di zavorra,
artiglio,
così che anche il camminare
prende un altro peso,
non si proietta il passo
ma, andando, volge
il proprio sguardo, indietro
ammicca
e ogni volta
accetta di morire
III
che luce è questa
che si ferma?
che risuona in aria
col metallo del cielo?
che spreme polvere e oro,
che, improvvisa, s’oscura,
torna alla notte?
sembra entrare maligna nell’occhio,
gonfiando il cuore d’altri sogni;
ruotando viva, prende posto,
s’impasta di calore e pietra,
nessuna come questa
appare simile al fuoco
e alla terra;
è luce d’ombra,
avvinta, corteccia
e polpa
IV
soffia vento di luna nuova
lungo le ascisse,
raso i confini e i carrubi,
di stanza in stanza,
dando il volo
ai fiori di bouganville,
assetato colore,
pallide carte
sul pavimento
V
di nuovo, sommando realtà ai ricordi, conosco il vento
quando s’ingolfa dal mare in casa e nel suo disperato
discorso cerca frasi ad effetto, adatte ad un’improbabile
traduzione: ma sono io che mi lamento convinto o è lui
che, caritatevole, porta aria dal cielo a chi nuota appena?
meglio, però, la rotta di un viottolo, la coffa di un muretto
che il porto greco di un baglio di vacanze
VI
ho visto la città, segnata come un colpo di verga sul dorso
della collina, lunga il volo di una lancia, da nord a sud, testa
e piedi adagiati verso l’orizzonte; impossibile non credere
all’ecìsta, non pensare alle necessità che impose al proprio
per un altro corpo bisognoso, tutto da fare, ora che ambedue
risplendono come ossame in scrigno di santa
VII
a quella santa, girata sul fianco,
dormiente come un fiume,
promisero, devoti, un eterno risveglio;
dove la cera si sciolse sul viso
e le costole recisero la gogna del corsetto,
già si intravede la sponda di luce,
la riga di sabbia sotto la risacca
VIII
occhio di Spada, brillante l’abisso divenuto azzurro,
grigio velato come la luna del giorno che viene,
smisurato becco levato in aria, senza correnti
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