Il frutto dell’isola
dura musica sul mare,
il sogno fenicio dei metalli,
latte greco, crudo
e
un volo etrusco di delfini,
restano vasi, a figure nere e rosse
che corrono su un filo di corrente,
navi esse stesse o terre
di un bel fuoco accese
*
l’odore d’erbe
arroventate,
elisir di campi
finiti in cielo,
in paglia,
si miete molto prima di sbarcare,
allora come adesso,
senti il fruscio dell’isola
al passo di scirocco,
il suo vagheggiare
pagine bianche,
girate in fretta
e tutte assieme
*
piccola e non breve navigazione
sottocosta, dipingendo curve
torno torno all'isola, rischiando
improvvisi abbracci e dolcezze
di luoghi appartati e senza pene;
vecchio di secolare vecchiezza
è questo andare, osservando,
naso e occhi, cigli d'erba secca,
frane, tonfi d'onde e d'uccelli
terrestri il rapido volo sull'acqua;
ho amato il tatto dell'isola,
la forma di cui si riempie
a riva, salendo o scendendo
nel ventre di mari infecondi sì,
ma solo di lunghe soste
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